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Il Monte Forato costituisce una delle mète più frequentato di tutte le Alpi Apuane: la sua forma particolare, con il grande arco visibile sia dal versante Versilia che dal versante Garfagnana, costituisce un’attrattiva irresistibile; noi dell’Ursea abbiamo già descritto come fare per arrivare su questa montagna, ma quello che vado ora a descrivere è un itinerario diverso, molto bello e anche molto lungo, ma veramente affascinante perché ci porta a toccare posti splendidi come la Foce di Valli e la Costa Pulita. La base di partenza di questo itinerario è il paese di Fornovolasco, adagiato sul fondovalle ai piedi della Pania Secca e famoso sia per la Grotta del Vento (poco distante) sia per la tragica alluvione del giugno del 1996: il borgo è raggiungibile da Gallicano con una strada molto stretta, scavata nel fianco della montagna; sulla destra, dopo aver lasciato il comune capoluogo di pochi km., è visibile l’Eremo di Calomini, mèta di un altro itinerario Ursea. Fornovolasco (480 m. s.l.m.) è posto alla confluenza di tre torrenti che qui si uniscono dando origine alla Turrite di Gallicano. |
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Grazie alla ricchezza delle sue acque era noto fin dall’antichità per l’estrazione e la lavorazione del ferro e nel XV secolo un gruppo di fabbri bergamaschi e bresciani vi impiantarono una fiorente industria metallurgica; ancora nella prima metà dell’Ottocento, quando Emanuele Repetti stendeva il suo prezioso “Dizionario Corografico della Toscana” (vedi nota successiva), uno dei forni era ancora attivo ma l’attività si era ormai quasi del tutto ridotta. Anche Ludovico Ariosto, che come più volte rammentato è stato Governatore della Garfagnana per conto degli Estensi di Ferrara, citava Fornovolasco in alcuni suoi versi”…al Forno, là dove il Garfagnino il ferro caccia…” . Giunti a Fornovolasco si parcheggia l’auto nella piazza e si attraversa il ponticello che scavalca la Turrite proprio nei pressi della trattoria “La Buca” di Mori Lido (si mangia bene e si spende il giusto per cui se si ha intenzione di pranzarvi al ritorno dall’escursione si può prenotare lì per lì oppure telefonare preventivamente al numero 0583 / 722013); al di là del torrente si incontra un fresca fonte dove è d’uopo rifornirsi di acqua. |
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A questo punto ci incamminiamo decisamente lungo il sentiero CAI n. 130 che ha inizio passando sotto un arco e che risulterà ben segnalato per tutta la sua durata: il percorso, che transita sul fianco orografico sinistro della valle, nel suo primo tratto è lo stesso dei sentieri 6 e 12. Dopo pochi minuti attraversiamo la strada asfaltata che si dirige alla Grotta del Vento: siamo a quota 540 nei pressi della Grotta del Tinello; qui il nostro sentiero 130 lascia gli altri due per svoltare decisamente a destra ed inoltrarsi nel bosco, per poi cominciare a traversare sulla destra e lasciare presto il sentiero per prendere una strada sterrata diretta a Casa Stefanina. Giunti nei pressi della casa si prosegue sulla sinistra lasciando ancora a sinistra la dorsale dove sorgono le Case Focoletto (694 m. s.l.m.): dopo pochi minuti si incontra una fresca sorgente situata nei pressi di Casa Piancese (quota 723); si prosegue costeggiando i ruderi di questa abitazione continuando a guadagnare quota nel bosco fino a giungere ad una polla e, poco dopo, al soprastante casolare detto la Carpineta (865 m. s.l.m.). |
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Da qui si gode della prima splendida visione della Pania: proseguendo il cammino dopo poche decine di metri si incontra un metato (933 m. s.l.m.) e, quindi, si va a varcare il Fosso del Termine , confine tra i comuni di Stazzema e Vergemoli, giungendo nei pressi di un rudere a quota 966. Da qui il sentiero 130 piega a destra per risalire la valle ed entrare in una faggeta: quando ci sono venuto io proprio qui, in uno spiazzo erboso, ho incontrato un branco di cavalli allo stato brado; usciti dalla faggeta si inizia a salire verso Foce di Valli e da ora in poi si camminerà sempre su paleo senza incontrare più alberi. Dopo pochi minuti che siamo usciti dal bosco, a sinistra del sentiero 130, si diparte il sentiero 131 che prosegue fino a Casa di Monte (923 m.) posta ai piedi del Forato; noi proseguiamo invece sempre sul 130, non dimenticando di ammirare la Pania, l’Uomo Morto e la Pania Secca che si trovano sulla nostra destra per giungere infine a Foce di Valli (m. 1266) dopo 2 h e 15 minuti di cammino. Foce di Valli è uno dei passi più famosi di tutte le Apuane: situato ai piedi del grande prato della Pania è un passaggio obbligato per tutti coloro che fanno il giro intero della Pania della Croce e ci permette una bellissima veduta di gran parte della catena apuana. |
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Poco sopra la Foce di Valli, in una zona nota come Piton del Soglio, si trova la piccola croce posta in ricordo nel “nonno di Collemezzana” Angiolo Bartolucci, nonno del mio grande amico, il mitico amico Agostino Bartolucci: dopo aver ammirato il panorama, andiamo decisamente a sinistra per tracce di sentiero segnate in blu che iniziano a risalire la lunga cresta di Costa Pulita, che unisce, appunto, Foce di Valli al Forato. Il sentiero si tiene appena sul versante garfagnino, ma si affaccia anche in più punti sui dirupi versiliesi, percorrendo anche alcuni tratti di crinale: si può accedere facilmente a vista alle quote principali, situate nella prima parte: la maggiore (m. 1300) è a circa un quarto del percorso e la traccia le passa appena al di sotto, tenendosi nel bosco. Superata la bastionata più alta, si discende verso le due successive selle sui 1125 m. ai piedi della cima nord del Monte Forato, quindi si traversa in lieve salita, sempre sul pendio che guarda verso Fornovolasco, fino a raggiungere il sentiero 12 appena prima del Passo dell’Arco (1h. da Foce di Valli e 3 h. e 15 minuti da Fornovolasco). |
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Da qui possiamo ammirare il meraviglioso arco naturale che fa del Forato una montagna veramente unica: l’arco è largo 32 m. e alto 26 m. e il suo spessore minimo è di 8 m.; all’origine di questa caratteristica figura, da cui la montagna ha tratto il nome, c’è l’azione erosiva di vento e acqua che hanno inciso il calcare sfruttando le fratture della roccia. Il Forato ha sempre attratto l’uomo per la sua forma unica e anche i poeti lo hanno declamato, come nel secolo scorso Giuseppe Tigri che così lo descriveva: ”D’immane ponte adamantino a foggia, ch’arte tu credi, eppur natura eresse!”. Dal valico del Monte Forato si può accedere facilmente alla cima nord (m. 1208,38) la più bassa delle due vette del Forato: qui è posta una croce di ferro e sotto la cima si trovano ancora alcune postazioni scavate dai tedeschi durante l’ultima guerra mondiale, che facevano parte della linea gotica: da qui, come dall’altra cima, si può godere di un vasto panorama che spazia dal mare, alle vette delle Apuane (particolarmente affascinante la veduta su Pania, Uomo Morto e Pania Secca), alla Garfagnana e a tutta la catena dell’Appenino tosco- emiliano. |
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Dopo aver sostato sulla vetta nord possiamo andare sull’altra vetta, quella sud alta 1229,7 m: i percorsi sono due, quello più corto passa sopra l’arco; è possibile percorrerlo prestando un po’ di attenzione alle pietre smosse e non soffrendo di vertigini, l’altro, invece, discende il versante del monte e passa di fianco all’arco. Scesi dalla cima nord facciamo una sosta sotto l’arco per ammirarlo ancora in tutta la sua imponenza e rilevando che da qui si possono osservare benissimo i tre paesi di Cardoso, Pruno e Volegno: lasciato l’arco andiamo ora a sinistra per Foce di Petrosciana (960 m . s.l.m.). Il sentiero si snoda sul boscoso versante garfagnino traversando in falsopiano la faggeta fino a giungere a quota 1000 nei pressi di una salto di roccia dove ha inizio la ferrata del Forato (vedi itinerario Ursea per la ferrata del Forato); lasciata la ferrata sulla destra, noi andiamo a sinistra lungo la ripida e rocciosa cresta sud del monte incontrando anche un breve tratto attrezzato con cavo metallico fino a giungere a Foce di Petrosciana,quota 961, (45 minuti dal Monte Forato e 4 h. dalla partenza da Fornovolasco) crocevia di numerosi sentieri e, a suo tempo, il più importante valico fra la Versilia e la Garfagnana in quanto Cardoso, versante mare, e Fornovolasco, versante garfagnino, sono i due paesi più vicini in linea d’aria. |
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Da Foce di Petrosciana, dalla quale si gode un’ottima visione sul Croce, Nona, Procinto e Matanna, andiamo ora a sinistra lungo il sentiero che scende verso i casolari di Petrosciana di Sopra ( 750 m. s.l.m) e Petrosciana di Sotto (704 m. s.l.m.) dove giunge anche una strada sterrata da Fornovolasco. Questa mulattiera è ricca di aspetti storici e naturalistici legati alla grande importanza che aveva il percorso da Stazzema a Fornovolasco: poco a valle di Petrosciana di Sotto, si incontrano infatti i ruderi della cosiddetta Pievaccia (quota 662), dove era uno di quegli ospizi o ospitali che erano immancabili lungo le principali vie di un tempo. E nei pressi di questi affascinanti resti si nota la rigogliosa sorgente della Turrite di Gallicano che sbuca con veemenza da un condotto sotterraneo: è veramente impressionante la grande quantità di acqua che esce limpida dalla montagna; per osservarla basta scendere nel greto del torrente, sul fianco orografico sinistro, tramite una scaletta in pietra. Proseguendo in discesa lungo il fianco orografico sinistro della Turrite si incrocia il sentiero 12 ed ora i due sentieri proseguono insieme: poco dopo l’intersezione del 6 e del 12, appena più in alto, si trova l’ingresso della Tana che urla, la prima grotta importante delle Apuane ad essere stata esplorata; impresa, questa, compiuta nel 1704 dal naturalista garfagnino Antonio Vallisneri. |
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La Tana che urla, posta a 652 m. s.l.m., ha un dislivello di 50 m. ed una lunghezza di 572 m.: è costituita da un’ampia galleria in salita, percorsa da un torrente con varie cascate, alcune delle quali di difficile superamento. Lasciata la grotta proseguiamo il cammino fino ad incrociare il sentiero 130, quello percorso all’andata: ora il 6, il 12 e il 130 proseguono in comune, oltrepassano la strada della Grotta del Vento, e ci portano nella piazza di Fornovolasco, doveva termine questo affascinante itinerario. È trascorsa 1,5 h. da quando abbiamo lasciato Foce di Petrosciana per cui l’itinerario completo richiede circa 5,5 h. di cammino. Dal libro “Storie e leggende della montagna lucchese” di Paolo Fantozzi Edizioni Le Lettere, bellissima raccolta di fiabe e leggende sulle montagne della Lucchesia. San Pellegrino, il diavolo e il Monte Forato – Il caratteristico foro che si apre sul Monte Forato, secondo la leggenda, è legato alla figura di San Pellegrino. Un giorno mentre San Pellegrino si trovava nella selva dell’Alpe a pregare, fu assalito da demoni e folletti che lo tormentarono a lungo: ma quando il Santo alzò la sua croce di faggio fece fuggire gli spiriti che con spaventosi ululati si sollevarono in cielo, turbinando come una nube tempestosa e si diressero verso il mare, creando una varco nella parete rocciosa della montagna, che dal quel giorno si chiamò Monte Forato. |
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Un’altra versione racconta che quando San Pellegrino viveva nelle montagna facendo penitenza e mangiando soltanto radici e bacche, venne tentato dal diavolo che con ogni mezzo voleva distrarlo dal costruire le sue croci di faggio che sistemava dappertutto. Così il diavolo decise di presentarsi di persona al Santo per spaventarlo: dapprima fu un drago spaventoso, poi si trasformò in una ammaliante fanciulla, ma San Pellegrino rimase tranquillo, per nulla turbato dalla presenza di quelle strane creature di cui conosceva bene la natura. Il diavolo decise allora di presentarsi sotto il suo terribile aspetto per rifilare un poderoso ceffone al Santo, che cadde a terra tramortito. Ma l’eremita, ormai stanco degli scherzi del diavolo, si alzò e ricambiò il ceffone con uno più forte che fece attraversare al demonio tutta la valle del Serchio mandandolo a sbattere contro la montagna e creando, così, quell’ originale foro. Quando si va a San pellegrino in Alpe si deve portare un sasso in segno di penitenza: le dimensioni di questo sasso devono variare a seconda dell’età e della forza della persona; quanto più la pietra è grossa tanto più efficace è la penitenza. Il sasso va lasciato in un posto chiamato “Giro del diavolo”, ed è proprio in questo posto che San Pellegrino rifilò al diavolo quel grande ceffone che lo fece volare in mare; in questa zona l’erba non è più cresciuta e si dice anche che il penitente che decida ad un certo punto della salita di rinunciare a espiare la sua colpa e di tornare indietro riceva un ceffone dal Santo stesso. |