Garfagnana Trekking 3^ Tappa

Foto 1

Isola Santa – Vagli di Sopra
Tempo di percorrenza 8 ore e 15

Nella terza tappa il Garfagnana Trekking offre una doppia opportunità, con una variante alta, decisamente più remunerativa, ed un’altra bassa, quest’ultima da preferire in caso di maltempo oppure nei periodi stagionali più rigidi, magari quelli dove nevicate abbondanti e ghiaccio possono scaturire seri pericoli. Dopo aver seguito in direzione ovest la sponda settentrionale del lago, il GT continua su strada fino alla curva o si trova una struttura ricettiva (ristorante Giaccò). Qui, a destra, i segnavia seguono l’imbocco di una carraia che ben presto lascia posto ad un viottolo che s’inserisce nella valletta in cui confluiscono il fosso del Cerro, del Vitellino e delle Pareti Lunghe. All’interno del castagneto misto a felci e tratti di macchia mediterranea, si compiono alcune svolte con le quali ci si allontana dal solco vallivo.

Foto 2

Già alto su Isola Santa, il sentiero coperto dal fogliame supera un rudere (foto 1) e con andatura pianeggiante giunge nei pressi di una piccola cappelletta dedicata a San Rocco, al cui interno si trova una marginetta posta da Domenico Tardelli, chissà, forse antenato del noto ex calciatore campione del mondo che proprio a Capanne di Careggine ebbe i natali. Una decina di metri più avanti il viottolo confluisce in uno stradello che velocemente conduce alle case situate più in basso del complesso di Capanne di Careggine (m. 840), (foto 2) quasi interamente ristrutturato ed impreziosito dallo scenario retrostante che in primo luogo mostra il Pizzo delle Saette. Seguendo ancora lo stradello si perviene alla rotabile che accede al paese e qui sorgono due possibilità: il GT vero e proprio prosegue a destra, sull’asfalto, in direzione nord ovest, verso il posto tappa di Capricchia;

Foto 3

l’alternativa, senz’altro più interessante e remunerativa, è la variante (a) per il M. Sumbra, contrassegnata pure dal segnavia 145, da prendere in considerazione soltanto con il bel tempo e fuori dai periodi di gelo. Una stradina selciata permette di salire ancora fra le case e giungere a monte dell’abitato. Ad un certo punto, nei pressi di una costruzione, occorre lasciare lo sterrato per imboccare un viottolo che, passata una maestà, fa il suo ingresso in un castagneto. Dopo breve salita si perviene in Piazza San Giacomo, di fronte all’omonima chiesa ed il suo distaccato campanile (fonte nei pressi). Continuando sullo stradello cementato si giunge alla sua morte, quindi, su carraia si fa nuovamente ingresso nel bosco a sud del M. Grotti.

Foto 4

All’altezza di un convogliatore in muratura, l’itinerario piega tosto a destra per un’ampia mulattiera tracciata nel castagneto, un tempo percorsa da carri come testimoniano i resti di antiche capanne pastorali. Molto più sopra si trascura a destra una deviazione e si tocca un altro convogliatore nei cui pressi scorre un rio. Da questo punto l’ampio tracciato diviene viottolo e sale faticosamente (foto 3) a raggiungere altre capanne consumate e da tempo abbandonate. Conquistato un balconcino panoramico, si fatica ancora per qualche metro prima che l’aperta visuale mostri nella sua completezza il gruppo della Pania (Croce, Secca e Saette). Con attenzione alla segnaletica si cala leggermente per andare a percorrere un sentiero che ben presto giunge ad uno dei punti più caratteristici, nonché naturali, dell’itinerario, un intaglio nella roccia attraverso il quale può passare soltanto un escursionista alla volta tanto è stretta la fenditura. (foto 4) Tra gli sfasciumi ci si cala per un breve tratto fino a guadagnare il fulcro della Costa del Giovo, un ampio e declivio schienale erboso completamente assolato e ricco di fioriture, punteggiato qua e là dai cosiddetti Capannelli del Sumbra, un tempo destinati a ricoveri pastorali.

Foto 5

Con attenzione alla segnaletica, perché il sentiero è appena tracciato nell’erba (solitamente alta), si prosegue con rotta ad ovest, gustando appieno dell’immenso panorama sempre dominato dal gruppo Pania, dal maestoso contrafforte del Pizzo delle Saette, dal Corchia e dal Freddone; in basso, invece, appare la conca smeraldina d’Isola Santa. Ci si alza ancora fra gli antichi pascoli (foto 5) in direzione del restringimento di un’aperta gola, quindi, dopo lungo tragitto e senza raggiungere il suo alveo, si fa ingresso in una fresca faggeta all’interno della quale ci si avvicina ad un rio. Senza scavalcarlo si piega tosto a destra riportandosi sul prativo, proprio al disopra dell’area precedentemente percorsa, (foto 6) con alle spalle l’imponente mole del M. Sumbra.

Foto 6

In breve, lungo il crinale, si perviene al Colle delle Capanne (m. 1.452), dove arriva la sterrata proveniente da Maestà del Tribbio accompagnata dalla segnaletica della variante (b) che sale dal posto tappa di Capricchia. Infatti, per chi da Capanne di Careggine ha proseguito lungo la variante bassa, questa è una seconda possibilità che viene offerta per salire al M. Sumbra. Al Colle delle Capanne sono presenti panche e tavolini in legno (ad oggi un po’ spartani), ottimi per un guadagnato momento di riposo. Piegando tosto a sinistra, si percorre un’ampia mulattiera per una cinquantina di metri, deviando poi a destra su una traccia secondaria che resta comunque all’interno della faggeta. Con rotta fissa ad ovest si continua sul crinale che digrada dal Sumbra, ora occupato da rocce scistose giallastre, ora da blocchi calcarei semisquadrati con stratificazioni orizzontali.

Foto 7

Zigzagando fra questi ed antiche carbonaie, si tocca un balconcino e si raggiunge presto uno dei punti più spettacolari dell’intero trekking: l’impatto con la parete sud del Sumbra, (foto 7) al sommo di pilastri verticali con orrida vista sui sottostanti strapiombanti e brulli scoscendimenti del Fosso dell’Anguillaia, dove, come anche nel vicino Fosso del Fatonero, si trovano le caratteristiche marmitte dei giganti. Per proseguire occorre spostarsi sull’altro versante, quello cioè affacciato sulla vallata dell’Edron, in cui spicca in primo piano l’ampio bacino idrico di Vagli sormontato dalla catena boscosa dei monti Corona, Roggio e Cristina, nonché l’intera catena appenninica che fa da sfondo al territorio garfagnino. (foto 8) Con un po’ di attenzione si passa fra roccette e pendio incerto, in bella vista sui monti Tambura e Roccandagia che s’ergono a nordovest.

Foto 8

Aggirato un tratto in cresta, si perviene sul crinale vero e proprio (foto 9) il cui precipizio verso l’Anguillaia, visto da qui, è assolutamente impressionante, anche spaventoso. La parte conclusiva che accede alla sommità del Sumbra è tracciata su un viottolino in erba che risale il conoide erboso (foto 10) come a dimostrazione della singolarità di questa montagna, in quanto, a seconda da donde la si guarda, Foto 9 cambia completamente fisionomia. Il GT non raggiunge la sommità vera e propria del monte, infatti, per recarvisi occorre deviare per una brevissima diramazione a destra che in pochi minuti porta dinnanzi alla croce. (foto 11)

Foto 9

La Penna di Sumbra, così è anche chiamata, è una montagna davvero particolare: costituita interamente da marmo, domina il Lago di Vagli, precipita sul Passo Fiocca con fianchi ripidi e spigolosi, mentre ad oriente digrada con una lunga dorsale che si protende verso la Garfagnana. Il Monte Sumbra in Garfagnana è circondato da leggende più o meno interessanti: gli abitanti di Vagli tempi addietro lo associarono alla figura della sfinge, teoria avvalorata da un’antica statuetta posta all’interno della chiesetta di S. Agostino che rappresenta una fiera accosciata in perfetta simmetria con il profilo del Sumbra. In una parte della montagna che guarda il paese di Vagli, a ridosso della cuspide a Pan di Zucchero, si elevano formazioni rocciose piuttosto elevate a forma di torrioni che sovrastano gli ampi pascoli. Questa zona, un tempo insediata da pastori, è conosciuta come “ai Palazzi”, località dov’era addirittura possibile propagare la propria voce fino ad essere ascoltata in paese.

Foto 10

La credenza era che in una delle numerose grotte aperte nei pressi fosse nascosto l’eco. A proposito di questo si narra che una giovane contadina ogni estate saliva col suo gregge e si divertiva ad urlare il nome del fidanzato per sentirlo rimbalzare lungo le pendici della montagna. All’improvviso l’eco assunse voci diverse e cominciò ad enunciare strane premonizioni futuristiche che spaventarono la giovane donna, da allora mai più risalita sulla montagna. Secondo qualcuno però l’eco non era altro che la voce di una fata, una sibilla che dal fondo di una grotta ripeteva ciò che si disperdeva nell’aria rivelando poi col soffio del vento i luoghi dove si trovavano favolosi giacimenti d’oro e d’argento.

Foto 11

Ancora più incredibile la storia del “camiscin”, il capretto nero che, dagli alti pascoli della parete meridionale, agitando la zampetta, invita chiunque si trovi nei pressi a seguirlo. Senza farsi mai raggiungere, scompare misteriosamente una volta condotto l’uomo nei pressi di una croce o di una maestà. Un’altra leggenda davvero particolare prende spunto dai generosi ed invisibili Giganti che un tempo abitavano i profondi canaloni inaccessibili ai piedi dell’uomo: le Marmitte. Le condizioni di povertà che affliggevano gli abitanti della Garfagnana si riflettevano in un vecchio pastore che abitava insieme ai suoi due nipotini rimasti precocemente orfani.

Foto 12

Il vecchio, oramai sempre più privo di energie, accettava umili lavori pur di sfamare quelle piccole creature. In inverno però le difficoltà aumentavano ed era costretto a chiedere aiuto alle persone di buon cuore. Una mattina il pastore salì sul Sumbra con i suoi nipotini a raccogliere erbe; li lasciò giocare liberamente fra gli alberi, mentre lui sedeva ai piedi di una roccia lungo il sentiero che porta in vetta. Il sole gli illuminava il volto solcato di rughe e bagnato di lacrime, cadute per la disperata situazione dettata dal non saper più come fare per cibare le piccole creature. Il giorno seguente il vecchio ritornò sul monte per raccogliere altre erbe, ma quando andò a riposarsi ai piedi di quella strana roccia, notò con stupore un mucchietto di sale, proprio lì, dove il giorno prima aveva versato le lacrime.

Foto 13

Ai quei tempi il sale costituiva una preziosa merce di scambio perché scarseggiava ovunque ed era necessario per la conservazione dei cibi. Il pastore se ne riempì le tasche e corse in paese per scambiarlo con farina, carne e fagioli. Tutto questo andò avanti per molto tempo ed il vecchio riuscì a farsi una buona scorta di provviste e mettere via pure qualche soldo. Un giorno però il vecchio non trovò più il sale ai piedi della roccia, ma non se la prese più di tanto, anzi, con occhi commossi alzò lo sguardo verso la montagna per ringraziarla quando vide scolpiti nella roccia i volti sorridenti di tre giganti, ancor oggi presenti proprio là dove il sentiero esce dal bosco e si affaccia al nudo precipizio del Sumbra.

Foto 14

Davvero spettacolare la panoramica a 360° che si ha dalla croce del Sumbra (m. 1.764): oltre al gruppo delle panie che si ergono a sudest, si notano il Corchia e l’Altissimo (sconquassato dalle cave) a sud, il Fiocca ed il Sella subito ad ovest, il gruppo con Tambura, Roccandagia, Pisanino, Pizzo d’Uccello, Sagro a nord, (foto 12) in pratica tutte le principali vette delle Alpi Apuane settentrionali;inoltre, tutta la catena appenninica e, verso il mare, tutta l’area che parte dal confine spezzino ed arriva alla costa livornese. Dalla croce si torna sul GT ripercorrendo a ritroso la diramazione per la vetta, quindi, si comincia ad affrontare la parte più delicata del percorso, che poi tanto delicata non è qualora le condizioni meteo ed il terreno fossero favorevoli. Ci si allaccia alla via ferrata Ricciardo Malfatti e si percorrono i suoi 180 metri di sviluppo tra punti abbastanza scoscesi, esposti, tracce di sentiero e cengia. (foto 13)

Foto 15

Con la dovuta attenzione ci si mantiene per sicurezza al cavo transitando fino alla base dello spigolo ovest del Sumbra, dove si dipartono alcune vie di arrampicata che si classificano, per quanto concerne le Alpi Apuane, fra le più notevoli imprese del periodo antecedente la seconda guerra. La calata termina al Passo Fiocca (m. 1.560), ampio valico rivestito di lastroni che si apre tra la Penna del Sumbra ed il Monte Fiocca. È a dir poco spettacolare pure questo passaggio che corre su tutta l’ampia insellatura, completamente coperta dal marmo, e che sollecita una abbacinante luminosità su entrambe i versanti, in particolare verso quello appena passato del M. Sumbra. (foto 14) Si trascura a sud (sinistra) la traccia del segnavia 144 che sale da Arni, via Fatonero, e si prosegue in direzione M. Fiocca (foto 15) sempre accompagnati dal segnavia 144 che procede nella sua marcia diretto assieme a noi al Passo di Sella.

Foto 16

Continuando sul crinale si percorrono alcuni metri prima di seguire a destra una poco visibile traccia nell’erba che affianca un pronunciamento e perviene in breve ad una focetta. Il sentiero ora scende nell’erba, comodo e con bella vista verso la Valle dell’Edron; si appresta ad attraversare tutto il versante settentrionale del M. Fiocca, tra ondulati pendii prativi che si allungano fin sul crinale, (foto 16) intervallati a mezza costa da una protuberanza rocciosa. Si prosegue in falsopiano ed al sorgere di macchie a lampone, si rasenta una faggeta con il crinale boscoso verso nord proteso ad allungarsi verso il già evidente M. Croce.

Foto 17

Oltrepassata una sorgente (solitamente asciutta ancor prima del periodo estivo), il sentiero volge chiaramente verso un valloncello, innevato fino a stagione inoltrata, che costituisce uno degli estremi orientali dell’ampio solco di Arnetola, purtroppo conosciuta più che per le proprie bellezze per l’intensa attività estrattiva del marmo. Oltrepassato il canalone, (foto 17) preceduto da una magrissima traccia esposta, si fa ingresso in un bosco di faggi caratterizzato da splendidi esemplari secolari, poi, raggiunta una dorsale rocciosa, si prosegue scavalcandola con molta attenzione per l’assenza di tracce di sentiero. Questa breve arrampicata sfocia in un altro valloncello aperto sotto il crestone che ne descrive la sua arcata sommitale.

Foto 18

Attraversatolo in parte, si comincia a salire assai faticosamente zigzagando nello spazio di pochi metri fino a guadagnare una finestrina oltre la quale, per sentiero comodo, pianeggiante e completamente erboso, (foto 18) si raggiunge l’amena distesa prativa del Passo Sella (m. 1.500), aperto tra le valli di Arni ed Arnetola, frequente meta di passeggiate escursionistiche, nonché ottimo punto panoramico verso nord sulla costiera Tambura-Roccandagia. Situato proprio sotto l’omonima ed ardita vetta, (foto 19) il Passo Sella è raggiunto da altri due itinerari CAI e cioè il 31, che sale da Azzano e termina ad Arnetola, ed il 150, proveniente da Casa Henraux (Le Gobbie), nei pressi del Passo del Vestito.


Foto 19

Inoltre, proprio dove si trovano numerose lapidi che ricordano la scomparsa di giovani escursionisti caduti in montagna, si diparte una traccia che conduce alla via ferrata Vecchiacchi diretta alla Focetta dell’Acqua Fredda, da cui è poi possibile raggiungere velocemente il M. Tambura. Dal Passo Sella il GT piega tosto a destra (nord), in compagnia del segnavia 31 che affonda nella Valle di Arnetola. Dopo alcune svolte la mulattiera penetra nella fitta faggeta, ma ciò che maggiormente colpisce è l’affioramento di un’antica via di lizza proveniente dal fondovalle che già di per sé pone in evidenza tenacia, costanza e fatica, elementi questi che hanno sicuramente segnato l’esistenza dell’uomo vagliese che in tempi non lontani si spossava trascinando il marmo giù per queste ardite montagne.


Foto 20

La discesa è assai lunga e monotona e si mantiene per lo più al centro del vallone. Essa resta comunque sempre all’interno del bosco, regalando momenti di freschezza dovuti sia alla naturale copertura boschiva sia alla mancata esposizione al sole. Questo giustifica in parte anche le residue macchie nevose che soventemente resistono fino a stagione inoltrata. Ad un certo punto, molto più a valle, l’ampia mulattiera (foto 20) effettua un taglio obliquo ed entra nel breve tronco del valloncello di Ripanaia, tagliato in più punti da numerose canale (asciutte in superficie nei periodi siccitosi) le cui acque confluiscono in un’area strategica di raccolta. Dopo un breve tratto all’aperto, si piega a sinistra, restando praticamente appena sopra la destra idrografica del fosso, che si guada una volta compiute alcune svolte.


Foto 21

Man mano che si scende l’ambiente cambia aspetto: le dimensioni dei faggi si riducono vistosamente; il terreno si fa più erboso; il bosco lascia che i raggi del sole filtrino la luce. È pertanto imminente l’arrivo al fondovalle, o almeno inizialmente alla marmifera che qui ha il suo angolo nascosto caratterizzato da una serie di diroccate costruzioni, oggi in parte riattate nelle fondamenta, che ricordano però quello che un tempo era punto di sosta ed avvicendamento di quadrupedi (muli in particolare), utilizzati come mezzi di trasporto di merci e di uomini. (foto 21) Da qui, assai velocemente, si perviene ad un bivio: a sinistra si diparte una via che conduce al segnavia 35;


Foto 22

a destra prosegue il nostro GT che, assieme al 31, tra sfasciumi, un brevissimo tratto attrezzato ed un viottolo tra radi faggi, (foto 22) giunge ad un secondo bivio, quello ufficiale con l’itinerario 35 (Via Vandelli) che, verso ovest (sinistra) porta a Resceto. Ci si trova ora sulla strada marmifera che sale da Vagli, probabilmente sul tratto più inquietante ed inglorioso di questo trekking, l’attraversamento chilometrico della Valle di Arnetola su strada polverosa, spesso trafficata da camion e priva di ogni interesse naturalistico. La lunga ed estenuante discesa passa accanto ai casolari semidiroccati di Arnetola ed è accompagnata (nei giorni feriali) dai botti che ogni tanto tuonano dall’interno delle cave.


Foto 23

Incassati fra il Tambura (ovest) ed il Pallerina (est), si cala per più di un’ora lungo la ventilata carrozzabile incontrando prima la cosiddetta Capanna d’Abrì, (foto 23) inconfondibile struttura in sasso adagiata a ridosso di un enorme roccione probabilmente sorta per scopi pastorali, anche se non è escluso che abbia pure avuto un qualche legame con la Via Vandelli, e dopo, oltrepassato il fossato e su asfalto, un presepe, abilmente impostato all’interno di una spelonca nell’anno 2000 per volontà dei parrocchiani di Vagli di sopra. (foto 24)


Foto 24

Ad una biforcazione, proprio al disotto dello sperone in cui staziona l’eremo di S. Viano, si trascura a destra la strada che, assieme al solco vallivo, porta a Castagnola ed a Vagli di sotto, e si prosegue sulla carrozzabile a tratti ombrosa che ogni tanto mostra sul lato sinistro alcune marginette dedicate a persone cadute probabilmente sul lavoro. Dall’imbocco della marmifera è trascorsa esattamente un’ora quando s’incontrano le prime abitazioni di Vagli di sopra (m. 725), antico Castrum Vallis de Supra, dominato dalle potenti strutture rocciose della Penna di Campocatino. Qui è possibile chiudere la tappa giacché ad oggi è presente un’ottima locanda che offre un validissimo servizio di alberghetto. Il paese, frazione di Vagli di sotto, si distende parte in un valloncello, parte su un costone, allungato attorno alla chiesa, nei pressi della quale transita il collegamento GT della variante bassa proveniente da Capricchia (Foto 24), che ora descriveremo.

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