Presentata al Parco la risposta del CAI Toscano

Ecco la risposta dell’Avvocato Manfredo Magnani Presidente del gruppo toscano del CAI al documento presentato a Massa il 6 febbraio 2010

Il documento, presentato a Massa il 6 febbraio 2010, intestato “la pianificazione delle attività di cava nel Parco: lo stato dell’arte e le questioni aperte”, si addentra nella prima parte in un excursus storico dalle prime direttive regionali o locali in materia ai pareri degli organi tecnico-istituzionali del parco fino agli indirizzi del P.R.A.E.R. (piano regionale attività estrattive). Il tentativo di dare ordine ad una normativa disordinata non per ignoranza delle tecniche legislative, ma per deliberata volontà politica, è frustrato dalla solo parziale adozione (ma non approvazione) del piano del parco, dallo stralcio delle disciplina delle attività estrattive, per la cui approvazione sono prevedibili tempi biblici, dalla scomparsa (sic) della proposta di regolamento negli uffici della comunità di parco. Il dilettarsi nel costruire un sistema, che possa funzionare anche senza gli strumenti di pianificazione del parco (o gran parte di essi), è lodevole, ma a patto che si apra la discussione anche su quelle questioni, che si dichiarano aperte, ma che aperte non sarebbero se l’ente parco avesse a disposizioni piano e regolamento, cosa che dovrebbe pretendersi a 25 anni dalla sua nascita.

Diviene allora una “missione” (o, anglicizzando, una “mission”) quanto indicato dalla Regione: “in merito all’estrazione di dolomia, al fine esclusivo di garantire le forniture industriali al settore vetrario e delle acciaierie, è necessaria una verifica da parte del parco sulla presenza di giacimenti potenzialmente coltivabili, sottoponendo le risorse estrattive di dolomia alle verifiche di compatibilità in relazione all’ambiente, al paesaggio, agli insediamenti ed alle infrastrutture”. Se si tiene conto che le cave di dolomia sono state chiuse in provincia di Massa per la ribellione di paesi, come Forno, soffocati dal traffico pesante e dall’inquinamento di polveri, gli interessati potrebbero anche ipotizzare una via della dolomia (come a Carrara la via del marmo), per baipassare gli abitati (come a Carrara la via Carriona), ed una escavazione in galleria che non non offenda il paesaggio. Affermare che il diniego alla escavazione della dolomia ha costituito “il maggior ostacolo politicoistituzionale all’adozione/approvazione del piano del parco” ha il significato di una resa prima ancora dell’attacco. C’è allora da chiedersi a che serve il parco, se si finisce per ragionare in termni economicistici, come un comune od un qualsiasi altro ente territoriale.

Il piano del parco poneva nel 1999 la sua attenzione per l’estrazione in galleria dei lapidei ornamentali al territorio tra Arni ed Arnetola, proponendolo come “banco di prova” soprattutto per la verifica degli effetti sul regime delle acque. Da qui a parlare di “passanti stradali a fine estrattivo” ci corre. Presentare poi come tale il traforo del monte Tambura, il cui asserito progetto non ha nemmeno la dignità di uno studio di massima, significa veramente discutere del sesso degli angeli. Non risulta che ci sia marmo, diversamente sarebbe stato ripreso anche il progetto della cosìdetta Barga – mare.

Una discussione più seria porrà la indicazione (data per altro come alternativa) di un contenimento dell’attività estrattiva nei territori di competenza del parco (anche per l’incidenza dell’avvenuta perimetrazione della Zona di protezione speciale e per le ZCC2 del contingentamento delle risorse lapidee di pregio). Il ridimensionamento della escavazione dovrebbe condurre il parco a manifestare la propria contrarietà alla ricerca ed estrazione di materiali ornamentali storici dentro al territorio del parco, oltre cioè quanto già previsto per le aree “contigue” interne. Non si dimentichi che il parco delle Alpi Apuane costituisce un unicum proprio per avere acconsentito, creando i famosi “buchi bianchi”, attività estrattive in piena zona parco; esempi clamorosi sono la cava al passo della Focolaccia e quelle dei Tavolini sul monte Corchia.

Condivisibile è la proposta della introduzione di una cartografia tridimensionale, per l’auspicato passaggio dalla escavazione a cielo aperto a quella in galleria. La proposta sembra peraltro diretta a svincolare le cave dalla perimetrazione superficiale di parco, quando invece tale strada dovrebbe poter meglio delimitare l’attività estrattiva. Se si pensa che già oggi non è difficile ipotizzare la fuoriuscita sulla o verso la vetta del monte Sella della cava Ronchieri, deve concludersi che la cartografia tridimensionale è uno strumento, che può garantire il sostanziale rispetto del piano di coltivazione approvato dal parco.

Deve infine essere condiviso il vincolo del prelievo di materiale dai soli ravaneti attivi e la sottoposizione della asportazione del materiale detritico al V.I.A., ove si superi la soglia dei 15.000 mc. asportati nell’anno solare. Il concreto pericolo di attività volte solo a produrre carbonato di calcio autorizza il parco a sottoporre a controllo gli interventi sui ravaneti.

Su tali temi si chiede al presidente del parco un incontro con le associazioni ambientaliste, per discutere di una pianificazione settoriale che può causare ulteriori danni ad un territorio solo in parte effettivamente tutelato.

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