Racconti di una stagione invernale – Enrico Tomasin

Riscopro a distanza di qualche anno la versione integrale di un raccontino scritto per il notiziario del CAI di Pisa e poi pubblicato in versione ridotta. Sperando che sia d’auspicio per una bella stagione apuana…

Un vento freddo mi tagliava di profilo, tremavo tutto, ogni tanto mi davo dei colpi alle mani mentre la corda lentamente scorreva verso l’alto in un silenzio interrotto solo dal mio ballonzolare. Spegnevo la frontale ogni tanto, poi la riaccendevo per poter gestire meglio le corde. Altri due tiri e siamo fuori, altri due tiri. Sotto di me si apriva, percettibile nel contrasto di bianchi e neri, la Nord, la nostra Nord. Ero in sosta alla selletta che sovrasta il gran pilastro, era buio, le otto di sera, altre due lunghezze separavano me e Matteo dalla cima, dalla comodità di un bivacco belli stesi, da un piatto caldo. L’uscita in vetta col cielo sereno e le poche luci di Vinca accese sotto di noi, piccolo presepio, fu la conclusione di una grande e bella avventura.
La stagione invernale 2008/2009 rimarrà negli annali e nei ricordi di tutti noi come una delle più nevose degli ultimi anni. E ne abbiamo approfittato il più possibile…
Le danze le ha aperte addirittura a fine novembre Matteo Faganello al Grondilice. Un periodo di quattro e più mesi in cui non ci siamo davvero mai fermati, salendo nuove linee, ripetendo vie già percorse, esplorando nuovi versanti. Un arido elenco di nomi, dislivelli, difficoltà non renderebbe molto… Però qualcosa si può ricordare. Il 19 dicembre 2008 al Pizzo delle Saette con Matteo Faganello nasce la ‘via dei dottoroni’ (600m con uscita sulla via Montagna, TD+ poco sostenuto), in pieno clima di protesta contro la riforma Gelmini dell’Università. Una grande parete forse poco nota che quel giorno ci offrì una bella avventura lungo una linea a destra della classica Elisabetta, con tiri di misto talvolta scabrosi e una galoppata finale lungo la cuspide, conclusa infine da una discesa con una miserrima frontale a tre led da dividere in due…
A gennaio, con Matteo Meucci, è invece la volta de ‘La Cura’: una vera e propria ‘direttissima’ all’inflazionato Colle della Lettera, che lasciava però ancora spazio per dire qualcosa: c’era una bella linea in centro parete, non ancora percorsa, andava esplorata… Il nome non c’entra nulla con Battiato… La via l’avevamo sognata su di una foto mentre tutti e due eravamo mezzi malati… e quella era la nostra cura!!!
Nelle prime settimane di febbraio a un periodo di forti perturbazioni segue un’alta pressione con temperature piuttosto basse. Era il momento tanto atteso per la Nord.
Partimmo dopo cena, il venerdì, e col furgone di Matteo Meucci andammo a Orto di Donna. Il programma era raggiungere l’attacco della parete scendendo la ferrata Siggioli. I Genovesi per l’originale erano il nostro (suo) programma. Io non sapevo esattamente cosa significasse ‘per l’originale’ma fui costretto ad impararlo, e piuttosto rapidamente. Certo, se nessuno la ripeteva più, ‘sta originale, e tutti preferivano salire il ‘camino rosso’ e scendere poi nel canale alto con una doppia, un motivo ci sarà stato! Dopo le prime tre lunghezze filate via piuttosto lisce Matte mi indicò due chiodi su una costola rocciosa alla nostra destra: era il mio turno, e un poco perplesso mi lasciai convincere a salire su di là… Il buon Matteo mi aveva tra l’altro detto che era facile, terzo grado… ma l’ha pagato l’inganno, e come se lo ha pagato! 90 minuti in sosta filandomi di centimetro in centimetro sessanta metri esatti di corda… Per me 90 minuti di adrenalina, di sporchi espedienti per guadagnare pochi metri e di dubbi atroci sul percorso migliore da seguire… Pivello mi tolsi i ramponi, per raggiungere (e tirare) il secondo chiodo ne misi uno nel mezzo, ci ravanai, ci staffai, mi incastrai con una spalla in una fessuraccia per ribaltarmi fuori, trovandomi poi a mal partito su uno scivolo di neve ghiacciata dove con gli scarponi dovevo gradinare a suon di calci nell’impossibilità di rimettermi i ramponi… infine una cengetta di forse trenta centimetri dove con esercizio di equilibrio riuscii a rimettermi i ramponi con lo sguardo che li vedeva ad ogni respiro ruzzolare malamente fino alla base della parete. Dopo il traverso la via era nostra: una lunga cavalcata fino alla vetta del Pizzo, con lunghi tratti di conserva e alcuni tiri davvero belli e in un ambiente eccezionale.
L’avevamo vista bene in che condizioni era: ottime. I camini erano zeppi di neve. Il tempo però per Matteo (Meucci) stringeva: una bambina in arrivo, un periodo di lavoro da passare all’estero. Le previsioni davano peggioramenti per la domenica pomeriggio. Alcune previsioni…
E si sa, le previsioni dicono. Poi siamo noi a leggerle, belle o brutte. Quasi senza rendermene conto mi trovo a riempire lo zaino di ciarpame d’ogni sorta, viveri per più settimane, generi di prima necessità. Mancano solo i cliff. Dormo a casa di Matte, sul divano, qualche ora. Tanto la sveglia è presto, e Riccardino la fa suonare anche un pochino prima del previsto. Ore 4,30 siamo in viaggio verso Orto di Donna, ci fermiamo anche per strada a fare un sonnellino e a bere un caffè.
Alle prime luci svuotiamo gli zaini e cerchiamo di ridurre la mole di roba da portarsi in spalla… alla fine di tutti i miei viveri luculliani mi viene concessa una bustina di ovomaltina e in sede del tutto eccezionale una busta di crema ai funghi porcini liofilizzata. Lo zaino pare davvero spropositato, roba da boy scout in giro per due settimane… Saliamo a foce Siggioli, e scendiamo la ferrata senza correre (anche volendo non potremmo farlo).
Fa caldo. Molto caldo. Troppo.
Vediamo le rocce che qua e là colano… arriviamo all’attacco, ci leghiamo. Lo zaino in effetti ora pesa meno, ma mica tanto… All’attacco la parete scarica parecchio, siamo protetti dalla fascia di strapiombi, eppure… eppure un sasso centra perfettamente il casco di Matte, rimanendo lì conficcato come la penna di un indiano. Lui manco se n’era accorto… quando su mio invito si tocca la calotta… “Credi ai presagi? Torniamo indietro?”. “Sì, ci credo. Andiamo.”
Il mio primo passo sulla Oppio non fu certo glorioso: appena appoggiato lo scarpone sulla roccia umida mi scivolò via! Capìta un poco la tecnica di scalata con gli scafi di plastica sulla roccia slavata del Pizzo il gioco risultò facile, e veloce. Rapidamente superammo alternandoci al comando la rampa e i primi tiri, indossando i ramponi alla sosta subito dopo la rampa. Un primo tiro di soddisfazione ci portò al terrazzo di Lotta Continua: da lì Matte prese il comando per superare due tiri particolarmente ostici che ci impegnarono per diverse ore. I passaggi che d’estate con le scarpette avevo superato senza fatica ora con lo zaino, i ramponi ai piedi e a tratti con le mani nude mi parevano davvero estremi! Usciti facendo qualche bel numero dalle maggiori difficoltà della parte bassa ci rimanevano ancora un centinaio di metri di terreno più articolato per raggiungere il posto dove avevamo previsto di bivaccare, il terrazzo dove d’estate si incontra la scritta ‘potere alle masse’.
Passato in testa alla cordata cercavo di accelerare il ritmo, ma quello che d’estate era un facile pendio di III di roccette con erba ora mi pareva un muro difficilissimo. Mi infilo su per una rampa di nevaccia dove riesco però a mettere buone protezioni, supero con un ultimo sforzo un caminetto roccioso e mi trovo su uno scivolo di neve, senza possibilità di far sosta. La luce viene sempre meno, e mi coglie il dubbio di essere andato troppo a sinistra… non ho più punti di riferimento. E non trovo buoni punti dove poter attrezzare una sosta. Salgo, diritto, e finalmente su una roccia affiorante ai bordi dello scivolo vedo un chiodo. Ne sono certo, ricordo di aver visto quello stesso chiodo, un universale, lo scorso mese di luglio quando con due amici ho ripetuto la via. Prendo la frontale dallo zaino e rincuorato procedo di conserva per qualche decina di metri, fino a che incontro un’ottima fessura dove sostare. Non sono certo di essere nel punto giusto, mi pare tutto così ripido… recupero Matte che arriva al buio. Decidiamo di bivaccare sul posto. Scavando un poco troviamo la scritta ‘potere alle masse’, e anche un chiodo… siamo al punto giusto!!! Matte all’inizio propone di scavare due piazzole per stendersi in orizzontale: io mi rifiuto. Non ci penso nemmeno, io lì non mi stendo!!! E così a suon di calci scaviamo un comodo sedile con tanto di schienale, materassini sotto al sedere ed il bivacco è pronto. Sono ormai le 20 quando banchettiamo in quella comoda posizione… Non fa freddo, e la parete scarica. Lontano però: siamo ben coperti da un piccolo strapiombo. Mescoliamo neve sciolta col fornelletto, cuscus, cubetti di grana e crema ai funghi porcini in un pastone che alla fine risulta davvero una prelibatezza… Ricordo anche di aver dormito un poco quella notte!!! Il cielo era bello stellato, spente le frontali la luce della luna faceva assumere alle creste e ai pilastri circostanti un aspetto minaccioso e inquietante. Ma io ero con Matte. Ero sereno come il cielo sopra di noi.
La sveglia del cellulare trillò che era ancora buio… ancora quindici minuti, si disse… mentre gustavamo quegli ultimi attimi di tepore nei sacchi a pelo un primo fiocco, poi un secondo, un terzo… il cielo era coperto, nevicava.
Ricordo che nessuno dei due disse nulla. Sciogliemmo della neve per il tè, io avevo la mia ovomaltina che mi mangiai secca a cucchiaiate, a Matte faceva mal di stomaco. Partimmo. Un tiro brevissimo ci condusse alla fessura diedrica. La roccia del pizzo, scivolosa di suo, diventa davvero poco godibile alle 7 del mattino del 1 marzo, soprattutto se sta anche nevicando. Attorno alle 10 avevamo superato anche quella. Non era più tempo di giocare, uno solo di noi due aveva le carte per uscire in fretta e col margine di sicurezza maggiore. Io salivo veloce senza nemmeno fermarmi a pensare, come un automa, non sentivo fatica, freddo, fiatone. Alle soste strizzavo i pugni per eliminare l’acqua che mi inzuppava regolarmente i guanti. Non mollava mai: l’ultima sorpresa ce la riservò l’ultimo strettissimo camino, occluso da un tetto di ghiaccio di un metro e mezzo da aggirare delicatamente, ma con un bel passo atletico e deciso. Altri due tiri, la cima, le telefonate agli amici preoccupati per noi. Ricordo le mie mani, bianche… Mi ci vollero diversi giorni per fare asciugare tutto.
La Oppio fu l’ultima salita della stagione con Matte: impegni di famiglia e lavoro gliel’avrebbero fatta concludere in anticipo. Il grande assente dalla scena apuana del fantastico mese di febbraio era tornato: il Monaco, al secolo Matteo F., orami ripresosi da una piccola operazione alle vie nasali era tornato, più battagliero che mai. La prima salita dopo l’operazione fu Ghad Il Polveroso al Colle della Lettera, salita con condizione al limite del proibitivo… sì, il monaco era tornato come nuovo.
Partimmo da Pisa ad un orario improbabile un sabato mattina, raggiungendo le cave di Ugliancaldo alle primissime luci.
Troppo caldo… umido… le condizioni sono ben peggio di quanto ci aspettassimo. Al parcheggio la macchina dei nostri due amici Alberto e Giancarlo, che sappiamo essere sulla via Cantini De Bertoldi. Andiamo all’attacco intanto: se loro, padri di famiglia, attaccano… tanto male non sarà…
Dopo i primi quattro tiri della Oppio capiamo che il nostro progetto di salire in centro parete va abbandonato: scariche continue spazzano il primo camino dopo la rampa. Proseguiamo così lungo la rampa. La scelta più sicura è salire anche noi dalla Cantini De Bertoldi: anche il canale alto dei Genovesi è bombardato da scariche continue… Raggiungiamo spediti i nostri amici e li seguiamo lungo la via, con alcuni tiri piuttosto belli. Essere in quattro, amici, su quella grande parete rende la giornata bella e serena nonostante le cattive condizioni della parete. Alle soste offriamo le nostre vivande (abbiamo con noi tutto il materiale da bivacco, portato in previsione della salita in centro parete) e il clima è allegro e disteso. Lungo la discesa nubi colorate dal tramonto trasformano Cavallo e Pisanino in colossi himalayani.
Con quel caldo la stagione poteva considerarsi conclusa al Pizzo.
Ritornò il vento di bora, invece. Le temperature scesero repentinamente, bloccando tutto. Il sabato me ne resi conto sulla cresta della Pania, quando, uscito da una via, mi dovetti infilare in un buco per poter resistere alle raffiche… le condizioni tornarono ottime, riportando il calendario indietro di un buon mese. Una nuova sveglia ad un orario improbabile, un sabato notte degli altri diventava di nuovo per noi una domenica mattina. Alle cave prepariamo gli zaini con la roba per due giorni: al solito con Matteo devo litigare per il materiale da portare. Cerco di nascondere qualcosina in più nelle tasche senza dare nell’occhio… mi fa anche rinunciare all’ovomaltina. I primi tiri della Oppio ormai ben noti ci scorrono sotto alle mani molto rapidamente; dopo la rampa indossiamo i ramponi e stringiamo le piccozze, che non abbandoneremo più fino alla fine. Arriviamo rapidamente al terrazzo di Lotta Continua, e da lì pieghiamo verso destra imboccando le varianti dei Fiorentini. Tutti e due conosciamo bene i tiri dei camini… evitandoli guadagnamo parecchio tempo, le varianti sono belle e in condizioni invernali mai troppo difficili. Il nostro obiettivo ormai è a portata di mano: una linea di bellissime colate scende dai camini della Oppio, sgrondando un centinaio di metri a sinistra rispetto alla fessura diedrica… e di lì che vogliamo salire.
Con un traverso espostissimo ma non troppo difficile raggiungo un’altrettanto esposta sosta, dove recupero Matteo. Da lì un tiro bellissimo di più di cinquanta metri offrirà le maggiori difficoltà della giornata. Sicuramente per bellezza, continuità ed esposizione uno dei tiri più belli che questa stagione ci ha offerto!!! Saliamo tiro dopo tiro su terreno vergine, fino alle cengia Simonetti, che raggiungiamo attorno alle 18. La cuspide sommitale non offre logiche possibilità di salita in libera…Abbiamo con noi tutto il necessario per un comodo bivacco, ma la prospettiva di uscire in vetta e potersi stendere comodamente senza alcun pensiero per l’indomani è troppo allettante. Con un delicato traverso alle ultime luci del giorno raggiungiamo il canale alto della Oppio e la selletta del gran Pilastro: al buio attrezzo la sosta. Altri due tiri e siamo fuori… il vento che per tutto il giorno ci aveva risparmiati ora ci sferza violento… quegli ultimi due tiri scorrono lentissimi, nell’oscurità totale. La vetta poi, le luci di Vinca, lo scivolare sereno lungo la parete est e un comodo bivacco ai margini del bosco, nei pressi della torre del Diavolo. Nasceva così la via dei Cervelli in Fuga, l’ultima via del Monaco alla nord prima della sua partenza per Parigi… E l’ultima via di quella bellissima stagione.

Enrico Tomasin

Cervelli in fuga

 

Cervelli in fuga – uno dei tiri più belli della stagione

 

Matteo e la nord!

 

Oppio Colnaghi – Verso “Lotta Continua”

 

 

I camini alti della Oppio

 

 

I tettini di ghiaccio della Oppio

 

Il traverso originale dei genovesi