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[i]Non ho foto neanche io, solo questi appunti datati
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Ho arrampicato con Sergio Martini (ma lui non se ne è accorto)
Era il 1 novembre del 1982.
Il giorno prima del congedo.
Ero rientrato la mattina, con il treno che arriva a Trento poco prima delle sette, dalla licenza.
Più che una licenza era stata una fuga, una fuga complice.
Il sabato precedente stavo bazzicando nel piazzale, nei pressi del cancello di ingresso della Caserma di Via delle Ghiaie, 4° rgt a.pe.cam.. Passa in auto il capitano, neo promosso, mio coetaneo. Apre il finestrino “Che fai?” “Aspetto l’ultimo” “Io vado a casa, stecca!” “Bon per te, ma tra tre giorni vado io, per sempre!, e allora burbetta…sparati , noi siam borghesi, siam congedanti…” “Dai sali ti porto a casa” “Si è chi me lo dà il permesso con la fureria chiusa” “E che te ne frega” “E se mi beccano al contrappello? Bada un po’ mi rovino il congedo” “Ma chi è che dà le licenze?” “beh..te!” “E allora salta su” e via fino a Massa, dove abitava il cap, e di lì in treno fino a casa.
Ora, rientrato alle sette, indossata la divisa e fatta l’adunata, ero già d’accordo. Vado in fureria ritiro il permesso e alle nove esco di caserma.
Leo è lì ad attendermi con l’auto.
Partiamo per la Val del Sarca.
Appena sotto le placche, ci prepariamo, scarpette, imbraco.
Vicino a noi un gruppetto di tre, ci prepariamo.
Leo si avvicina, saluta un paio di loro. Io ascolto in disparte.
Ha finito, ci leghiamo. “Sai chi è quello là? Quello moro lì in mezzo?” “Non saprei” “E’ Sergio Martini, è uno forte di Rovereto. Ma forte davvero. Sta preparandosi per una spedizione in Himalaya.” “No, non lo conosco, ma il nome non mi giunge nuovo, ma sai è un cognome diffuso, molto diffuso, anche da noi”
Ci avvicinammo all’attacco della Rita, la via più affollata, la via più facile.
Martini e gli altri attaccarono una placca sulla nostra sinistra.
La Rita è una via che segue alcune fenditure e svasature della roccia, per cui noi rimanevamo un po’ incassati tra le costole di calcare ai nostri lati.
Alle soste, mentre Leo si preparava a ripartire, avevo così modo di vedere le silouettes degli altri che si stagliavano netti muovendosi con eleganza lungo le cordanature rocciose in rilevo, sagome nitide sullo sfondo del cielo.
E tutto ciò rendeva la mia salita insolita, una salita più da spettatore che da attore, da osservatore attento delle concatenazioni fluide e dei movimenti felini in una atmosfera quasi magica, un’atmosfera da leggenda. E di fatto l’Alpinismo saliva lì a fianco senza che lo sapessi.