meglio la Miura o la Katata?

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  • #19931
    alberto
    Partecipante

    diciamo che i fratelli Coubal come “pantafolai” non le usavano solamente durante i loro bivacchi……

    Insomma pantofole multiuso.

    Oppure è meglio dire che non è la scarpa che conta ma quello che ci sta dentro……

    #19935
    Anonimo
    Ospite

    Albe anche iannilli l’anno scorso ci aveva detto che partiva con il materiale in solitaria e lo recuperava tiro dopo tiro…in pratica un c… a come un paniere…

    Daniè ieri sera il telefono non mi ha squillatooooooo :D :D :D :D

    #19946
    alberto
    Partecipante

    e vai con le pantofole.

    Tofana di Rozes via nuova

    Attachments:
    #19947
    alberto
    Partecipante

    le pantofole ci sono, adesso anche l’amaca.
    ……. basta solo dormire.

    #19961
    alberto
    Partecipante

    questo non ha le leggere e aderenti babbucce ma guardate che classe…!

    #19964
    ghisone
    Partecipante

    Soprattutto chissà dove ha messo l’ultimo chiodo, guarda la corda dietro come casca !!! Azz!!!!!

    #19966
    alberto
    Partecipante

    [quote=”ghisone” post=22998]Soprattutto chissà dove ha messo l’ultimo chiodo, guarda la corda dietro come casca !!! Azz!!!!![/quote]

    vedo che l’hai notato!!!

    #19967
    fabrizio
    Amministratore del forum

    Non teme nulla perchè ha il caschetto!!! :blink: :laugh:

    #19968
    Cima
    Partecipante

    reperto bellico il caschetto! :laugh:

    #19969
    alberto
    Partecipante

    ragazzi un po’ di rispetto.

    Il RAGAZZO DI BUIA è stato un grande dell’alpinismo italiano.

    #19971
    fabrizio
    Amministratore del forum

    [b][color=#0000ff]dal forum di Planetmountain.com
    [/color][/b]
    RICORDO DI ANGELO URSELLA

    Nel febbraio del 1966 stavo allenandomi nella palestra di roccia di Illegio con Raoul quando arrivò una Fiat 500 color blu cobalto e ne scese un tizio vestito come usava allora: pantaloni alla zuava, maglione fatto in casa e un berretto di lana sotto al quale spuntava un ciuffo di capelli biondi. Lo sconosciuto non ci degnò di un cenno, infilò gli scarponi, preparò il materiale e cominciò ad arrampicare da solo. S’innalzò sulla parete verticale prendendosi parecchi rischi: si muoveva a scatti afferrando al volo appigli malsicuri, chiodi arrugginiti, e — massima ignominia per un alpinista che si rispetti — appoggiando ogni tanto le ginocchia. Pensammo che era un pò matto oltre che maleducato, e ce ne andammo prima che ci piombasse sulla testa.

    Tre anni dopo, sulla Rivista del Cai, comparve una lettera che si intitolava: “Cerco amici e compagni di cordata”. Era firmata da un certo Angelo Ursella, di Buia. L’autore cominciava elencando la sua attività alpinistica — un formidabile concentrato di solitarie di eccezionale difficoltà — e concludeva dicendo che era stanco di andarsene in giro per i monti da solo. La cosa fece scalpore: tra gli altri gli telefonarono gli Zandonella di Comelico, Samuele Scalet da Trento, Sergio De lnfanti, Rodolfo Sinuello e anch ‘io.

    Fissammo un incontro. Mi recai all‘appuntamento chiedendomi chi diavolo potesse mai essere quel ragazzo di Buia col quale avevo parlato per telefono, ma che nessuno conosceva, quando vidi parcheggiata sotto la sede della Società alpina friulana una Fiat 500 color blu cobalto, accanto alla quale c’era lo stesso tizio coi capelli biondi che avevo intravisto in quel lontano giorno a Illegio. Angelo aveva la faccia sveglia, occhi chiari, e un naso un po’ da pugile, per via di una botta rimediata da ragazzo giocando a pallone. Gli raccontai brevemente la mia modesta storia alpinistica e gli chiesi di fare altrettanto della sua, che modesta non era: non capivo come avesse fatto, lo sconosciuto che avevo visto balbettare alpinismo in quella palestra di fondovalle, a trasformarsi in pochi anni in uno dei più forti scalatori del mondo, tale da reggere il confronto con i grandi “solitari” di quell’epoca, gente del calibro di Reinhold Messner ed Enzo Cozzolino.

    Mi disse che aveva cominciato ad arrampicare da solo perché ignorava totalmente che esistessero dei corsi di alpinismo organizzati dal Cai. Non sapendo bene come cominciare, per prima cosa aveva recuperato nel fienile una corda di canapa, che aveva immerso in una tinozza di tintura rossa per darle un aspetto più presentabile. Poi qualcuno gli aveva spiegato che gli alpinisti adoperavano chiodi di ferro con un buco per agganciarvi la corda, e lui se li era costruiti a mano, visto che faceva il falegname. Quindi aveva tentato di scalare la parete nord di casa lungo le commessure dei mattoni, ma un chiodo era saltato e un amico lo aveva tolto dai guai accorrendo alle sue urla, con una scala. Solo a quel punto, aveva accettato qualche lezione di arrampicata da un altro amico che però era meno bravo di lui e, di conseguenza, Angelo aveva deciso di compiere da solo la sua prima salita in montagna, la Cassin alla Piccolissima di Lavaredo, di sesto grado, arrampicando sia in salita sia in discesa, perché scendere in doppia lungo quella corda da vacche gli sembrava troppo rischioso. Infine, stufo della vecchia corda, se n’era sbarazzato, ne aveva comprata una vera da alpinismo e con quella aveva salito, in solitaria, lo Spigolo degli Scoiattoli alla Ovest, Ia via Dibona alla Punta Giovannina delle Tofane e la Maestri alla Roda di Vael: tre scalate, classificate al limite superiore del sesto grado.

    “Tutto qui, concluse. Per chiarezza, alla fine degli Anni Sessanta, chi faceva il quarto grado era considerato un ottimo alpinista, quelli che arrampicavano al quinto erano l’eccezione, quelli che andavano sul sesto erano l’eccezione dell’eccezione: in Friuli, credo non fossero più di una decina. Angelo, in quegli anni, era già andato parecchio oltre. E in solitaria.

    Uscii da quell’incontro, con due certezze: mi ero sbagliato, nel giudicare maleducato lo sconosciuto di Illegio: Angelo era gentilissimo, oltre che maledettamente timido. Poi: non si rendeva conto – o forse non gliene importava – di essere già entrato nella storia dell’alpinismo.

    L’estate dopo, Angelo mi fece il piü bel regalo al quale i miei vent’anni potessero aspirare: mi portò sulla via Carlesso della Torre di Valgrande, in Civetta. Il mio primo sesto grado. Lo guardavo arrampicare sopra di me, sulla stretta fessura gialla che si confondeva alla fine con un cielo pieno di nuvole color piombo che scaricavano una pioggia che non poteva toccarci, perché la parete strapiombava. Ricamava passaggi estremi, giocava a rimpiattino con soffitti sopra i quali io mi sarei consumato le unghie e rovinato le mani: il brutto anatroccolo che avevo visto rischiare le piume quando muoveva i primi passi, si era trasformato in un capocordata fortissimo.

    L’anno dopo partì per l’Eiger, con Sergio, mentre io con Raoul Candidi Tommasi me ne andai ad arrampicare in Lavaredo. Qualche giorno dopo alle prime luci di una giornata fredda e ventosa qualcuno dall’esterno aprì la “zip” della tenda dove dormivamo, buttò dentro un giornale e scappò via di corsa. Sentii i suoi passi allontanarsi e solo più tardi seppi che era un amico e che non ce la faceva a dircelo in faccia, che sul giornale c’era scritto che Angelo era morto.

    Qualcuno ha parlato di una meteora, che ha attraversato il cielo dell’alpinismo italiano verso la fine degli Anni Sessanta. Per una volta mi associo alla retorica: ha lasciato una grandissima luce.

    #19972
    Anonimo
    Ospite

    brividi….non si puo dire altro…non erano uomini erano alieni…

    #19973
    alberto
    Partecipante

    non credo che Ursella fosse un’ alieno. Se lo fosse stato sulla nord del Eiger sarebbe andata diversamente.

    Angelo aveva solo una passione immensa che gli permetteva di impegnarsi in certe avventure anche se non aveva le conoscenze tecniche e le adeguate attrezzature, che comunque allora non erano certo quelle di oggi. Ha fatto tutto da autodidatta ma la sua immensa passione l’ha portato ai vertici.

    Io credo che da un punto di vista alpinistico questa gente vada solo ammirata per il solo fatto dello spirito con cui affrontavano certe salite.

    Non è certo come oggi che pretendiamo di sapere ogni dettaglio.

    #19978
    Anonimo
    Ospite

    intendevo dire con “alieni” fare un complimento,ma mi riferivo solo all’immagine…se qualcuno mi chiedesse di provare un qualsiasi sesto grado con gli scarponi che aveva lui,con la sua scarsa conoscenza della tecnica ecc… beh ci penserei su un po di volte e anche se la mia passione è tanta non so se riuscirei a dire di si e a buttarmi…massimo rispetto per questi individui di un altro livello…

    #19979
    alberto
    Partecipante

    ho capito benissimo che volevi fare un complimento.

    Quello che volevo dire io che certe persone sono superiori non tanto per l’aspetto puramente tecnico ma per la testa che ci mettono, per il gusto dell’avventura, dell’ignoto.

    E’ questo che spesso fa la differenza.

    Manrico dell’ Agnola quando andava a ripetere un’ itinerario aperto da altri, per non facilitarsi troppo la salita, non si portava la relazione . Solamente una foto con la linea di salita.

    Stessa cosa la faceva Gary Hemming che ha sempre dichiarato che delle vie bisognava dare solo il punto di attacco e di uscita e basta. Niente relazione!

    In una società come la nostra, dove si vuole sapere ogni dettaglio per la mania della sicurezza, questi comportamenti sembrano assurdi.

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