L’arboreto di Vallombrosa


Vallombrosa e il Paradisino

Vallombrosa (m. 958) con la famosa abbazia e la sua meravigliosa foresta è una mèta obbligata per chiunque voglia godere di aria buona, pace, tranquillità e, nel periodo estivo, di fresco perché questa è una zona estremamente fresca: ben lo sanno i turisti che nel periodo estivo alloggiano nella vicina Saltino una paese che non è altro che una località di villeggiatura piena esclusivamente di alberghi, ristoranti e rare case private. Vallombrosa si trova alle pendici del massiccio del Pratomagno ed è raggiungibile da diverse vie ma quella sicuramente più breve e migliore è quella che parte da Reggello, località raggiungibile in breve tempo uscendo al casello di Incisa Valdarno dell’Autostrada del Sole: da Reggello il percorso è indicato dai cartelli stradali ed è impossibile sbagliare.


Rododendro

A Vallombrosa, come già detto, c’è una famosa abbazia fondata nel 1036 da San Giovanni Gualberto, patrono dei Forestali d’Italia e una bellissima foresta, ma la mèta di questo itinerario è solamente l’arboreto (o meglio i diversi arboreti che lo compongono) che qui si trova. L’arboreto di Vallombrosa costituisce la più importante collezione italiana di piante ed una delle più importanti d’Europa: ad iniziare l’arboreto sperimentale fu nel 1870 Adolfo di Berenger, primo direttore dell’Istituto Forestale, in un piccolo appezzamento della Tenuta di Paterno dove sorgeva la prima sede dell’Istituto stesso. Successivamente, con il trasferimento dell’Istituto Forestale nell’Abbazia di Vallombrosa, nel 1884 Vittorio Perona (assistente del Berenger) trasferì i piccoli esemplari di piante in un piccolo appezzamento di terreno adiacente dedicandolo a Giovanni Carlo Siemoni, studioso di selvicoltura.


Vosta dal Paradisino

Nel biennio successivo l’arboreto di ingrandì fino ad occupare più di 4 ettari di terreno prativo attiguo e questa nuova sezione fu intitolata “Tozzi” dedicandola all’abate vallombrosano Brunone Tozzi, studioso di botanica. Nel 1891 una piccola parte del vivaio arboreto fu destinata dal prof. Solla ad orto botanico e venne dedicata a Berenger, ma con il trasferimento dell’Istituto Forestale a Firenze l’orto botanico venne abbandonato: nel 1894 venne realizzato da Perona l’arboreto di “Masso del Diavolo” e fu dedicata a Romano Gellini. Questo arboreto è particolare perché fu costruito in una zona riparata dai venti di tramontana ed esposta a mezzogiorno ed in essa allignano specie arboree ed arbustive esigenti in calore che difficilmente si poteva pensare di coltivare a 1000 m. sul livello del mare.


Il mappamondo

Fino al 1940 l’arboreto fu curato con regolarità ma durante la guerra fu sospeso ogni intervento fino a che nel 1970 fu considerato abbandonato visto il sopravvento che aveva preso la vegetazione naturale, ma nel 1976 l’arboreto fu ripristinato dall’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo (di cui è direttore il mitico dr. Augusto Verando Tocci, realizzatore della trasmissione “Esplorando” su Toscana TV) con il pieno appoggio dell’Amministrazione delle Foreste e la collaborazione dell’Istituto di Botanica Agraria e Forestale dell’Università di Firenze. La superficie del “Masso del Diavolo” è di circa 3 ettari ed è posto a una quota che va dagli 850 ai 950 m. s.l.m. e comprende piante tipiche anche della macchia mediterranea grazie al clima più mite rispetto alla foresta che lo circonda.


Aldo nel vialetto dell’arboreto

Fra le specie presenti Acer Peronai, Cistus laurifolius, Quercus ilex, Cupressus sempervirens, Pinus, Nothofagus, Araucaria. Tornando agli arboreti principali bisogna dire che nel 1896 la costruzione della strada per il Secchiata interruppe la continuità degli arboreti Tozzi e Siemoni: nel 1911, sempre a cura del Perona, fu costituito il “saliceto Borzi” riservato alle specie più bisognose di umidità ma oggi, purtroppo, non più visibile e allo stesso Perona fu dedicata una nuova sezione dell’arboreto. L’attività di studio e di ricerca riprese alla fine della prima guerra mondiale con la costituzione dell’ “Arboreto Nuovo” per opera del nuovo amministratore della Foresta demaniale prof. Pavari e questo segnò l’introduzione a Vallombrosa di specie esotiche; dal 1929 le collezioni, fino ad allora affidate alla cattedra di selvicoltura dell’Università di Firenze, passarono alla direzione della stazione sperimentale di selvicoltura oggi Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo.


Aldo di fianco ad un enorme larice a tre fusti

Nel 1934 fu istituito un museo dendrologico con lo scopo di valorizzare gli arboreti e mettere a disposizione degli studiosi materiale per le loro ricerche ma nel 1944, a seguito di un bombardamento, il museo dendrologico, la palazzina e l’arboreto subirono gravi danni ai quali si aggiunsero, nell’inverno successivo, altri danneggiamenti provocati da militari e civili: solo nel 1948 fu ripristinata la recinzione e riparata la canalizzazione delle acque, non più funzionante dal tempo della guerra. Nel 1970 il numero degli esemplari rilevato era di circa 3000 piante di oltre 1200 specie mentre oggi le piante sono oltre 4000: in novembre viene fatto il censimento delle piante che hanno naturali proprietà farmaceutiche da parte dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo diretto dal dr. Tocci in collaborazione con una nota casa farmaceutica, per cui chi si recasse in questi giorni a Vallombrosa potrebbe notare che alcuni alberi portano una scritta di pianta con proprietà farmaceutiche.


Aldo davanti ad una sequoia

Gli arboreti coprono una superficie di circa 9 ettari completamente recintati e sono compresi nella Foresta Demaniale di Vallombrosa situata sui contrafforti del Pratomagno in una zona che va dai 900 ai 1000 m s.l.m. nella zona di transizione tra il castagneto e l’abetina, da un punto di vista climatico-forestale tra la sottozona del Castaneum freddo e quella del Fagetum caldo con una temperatura media annua di 10,2° C e con minime assolute di -16° e massime di + 30,3°; le precipitazioni annue sono di 1390 mm. e i suoli derivano da rocce sedimentarie dell’Eocene (banchi di arenarie, alternati a strati di scisti argillosi). Nell’arboreto sono presenti attualmente più di 4000 esemplari appartenenti a 1200 specie con 137 generi (di cui 23 appartenenti alla conifere e 114 alle latifoglie) facenti parte della flora delle zone climatico forestali del Castanetum, Fagetum, Picetum ma quello che più colpisce sicuramente il visitatore sono gli esemplari più grandi come le sequoie e i pini duglas o quelli più strani come il “mappamondo” e il “mostro”.


Romano davanti ad un enorme pino Douglas

Annesso all’arboreto è un piccolo museo dendrologico dove sono conservati tutti i più importanti esemplari che vegetano negli arborei (erbaio, collezioni di frutti e semi in vaso, a secco o in liquido, campioni di legname delle piante morte o abbattute) mentre la Biblioteca Dendrologica è conservata nella Biblioteca dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo. L’arboreto è così suddiviso: Arboreto Siemoni superficie di 0,34 ettari (istituito nel 1884) include 2 sezioni con circa 500 esemplari; Arboreto Tozzi superficie di 3 ettari (istituito nel 1886)include 17 sezioni con circa 2000esemplari; Arboreto Perona superficie di 0,97 ettari (istituito nel 1914) include 11 sezioni con circa 1500 esemplari; Arboreto Pavari superficie 2,10 ettari (istituito dal 1923 al 1958) include 12 sezioni con 200 esemplari; Arboreto Allegri (l’ ultimo ad essere istituito: 1976); Vivaio parte più antica dell’arboreto, già arboreto Berenger (istituito nel 1869); Arboreto “Gellini” o di “Masso del Diavolo” superficie di 3 ettari (istituito nel 1894 da Perona e poi ripristinato nel 1976 dall’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo dopo decenni di abbandono.