|
Il Monte Giovo (m. 1991) è fra i più alti di tutto l’Appennino tosco – emiliano: è molto noto perché con la su possente mole domina il sottostante Lago Santo modenese (frequentatissima mèta di escursionisti perché raggiungibile in automobile) con il quale forma un binomio inscindibile .E’ inutile stare a dilungarsi troppo su come si raggiunga questo specchio d’acqua d’alta quota ,comunque per i pochi che non lo sapessero diciamo che è raggiungibile da Pievepelago andando per la S.S. del Passo delle Radici e svoltando a sinistra per il paese di Tagliole e per il lago stesso, come ben segnalato. Nel Giovo il paesaggio geomorfologico è dominato da estesi affioramenti di natura arenacea (macigni) interrotti da rocce marnali e argillose: questi strati hanno avuto origine fra i 30 e i 17 milioni di anni fa dalla sedimentazione di materiali sabbiosi depositatisi sui fondali marini. |
|
Lo studio dei granuli che compongono le arenarie ha chiarito che esse provengono dall’erosione di rocce alpine: la continuità degli affioramenti arenacei è interrotta da rocce argillose di colore grigio scuro ma, a volte anche rosso o verdastro; la colorazione viva delle rocce è dovuta alla presenza di pigmenti: ossidi di ferro (da rosso vivo a giallo) e di manganese (nero e blu). Per ciò che riguarda l’ambiente vegetale questa montagna è caratterizzata in alta quota da arbusti nani (brughiera a mirtilli) e praterie oltre alla vegetazione tipica delle rupi mentre alla quote più basse il manto vegetale è contraddistinto da faggi Tra gli animali presenti si notano molte specie di uccelli (fanello, cul bianco, cincia mora, ciuffellotto) tra cui ogni tanto fa la sua comparsa l’aquila che nidifica nel vicino Orrido di Botri o sulle scoscese rupi della Pania di Corfino; inoltre, con un po’ di fortuna, si possono osservare anche le marmotte, reintrodotte dall’uomo alcuni decenni fa e ora perfettamente acclimatate. |
|
Il Monte Giovo domina la testata della bella Valle delle Tagliole e, come detto ,forma un binomio inseparabile con il Lago Santo anche perché il lago stesso è creatura del monte: la morena frontale del piccolo ghiacciaio, già esistente nel quaternario, ha creato uno sbarramento che viene alimentato da un emissario che nasce a quota 1650 dalla Borra dei Porci. Tornando all’itinerario possiamo dire che questo che ora andiamo a descrivere è solo uno dei quattro che, partendo dal parcheggio che si trova sotto il Lago Santo, raggiungono la vetta del Giovo: dunque, lasciata l’auto nel vasto parcheggio (quota 1450), ci dirigiamo verso il lago stesso (che si trova a 1501 m s.l.m.) tramite la larga strada carrareccia di servizio per i ristoranti e i rifugi che sorgono sulle sue rive. |
|
La strada arriva nei pressi del Rifugio Vittoria dove si trova una bella fontana costruita dal Corpo Forestale dello Stato: facciamo rifornimento e andiamo a destra lungo il sentiero CAI n. 529 costeggiando la sponda orientale del lago e passando vicino al Rifugio Marchetti e poi il Rifugio Monte Giovo. Arriviamo sulla punta settentrionale del lago in una zona chiamata “La Spiaggia” e da qui si va sul largo tratturo nel bosco di faggio fino a raggiungere un crinale secondario sul quale si immette il sentiero CAI n. 531 che proviene dalla località Ca’ di Gallo, nella Valle delle Tagliole, piccolo borgo tanto caro alla mia collega e amica Cristina e alla sua dinastia materna della famiglia Santi. Il sentiero attraversa una radura passando accanto ad un bosco di faggi e perviene all’importante Passo della Boccaia (m. 1587) notevole crocevia di sentieri e punto strategico di tutto l’Appennino modenese. |
|
Sono trascorsi 45 minuti da quando siamo partiti dal parcheggio sotto il Lago Santo. Dal Passo della Boccaia andiamo a sinistra seguendo il sentiero CAI n. 527 che si inerpica con forte pendenza fino a traversare un boschetto di faggi: usciti dal bosco si prosegue lungo il ripido e sassoso sentiero per giungere in una zona più aperta con la veduta del lago alla sinistra e l’ampia conca glaciale della Valle delle Fontanacce a destra. Camminando sul paleo e le piante di mirtilli si guadagna la spalla del monte: proseguiamo la salita su fondo duro a scalette fra massi e prestando attenzione ai segni del sentiero CAI n. 527, perveniamo alla base dell’antecima nord del Giovo sotto il quale è ubicata una pozza che è asciutta soltanto alla fine dell’estate. |
|
Con un’ultima salita, costeggiando una valletta, perveniamo alla croce (2,5 h. dalla partenza) che però, attenzione non è il punto più alto del monte, anche se ne è il punto più frequentato: il punto più alto del Giovo (m. 1991) dista solo qualche decina di metri in direzione sud – est ed è contrassegnato da un cumulo di sassi. Tornati alla croce, che resta l’emblema della montagna, la zona dover sorge la si può definire come un punto trigonometrico di grandissimo orizzonte: notevoli le vedute della costa, del Golfo di La Spezia, di tutta la catena apuana, delle montagne del reggiano con il Cusna (m. 2121) in primo piano. Dopo aver ammirato il panorama possiamo intraprendere il percorso inverso che ci riporterà al parcheggio sotto il Lago Santo in circa 2 h. per un itinerario totale di 4,5 h. |
|
Le leggende del Monte Giovo da “Storie e leggende della montagna lucchese” di Paolo Fantozzi Edizioni Le Lettere. Viene spontaneo associare il nome Giovo a Giove, Padre degli Dei Latini, ma dobbiamo considerare che il toponimo Giovo e le varianti Giovetto, Giovi, Giovarello, Giogo è frequente in tutto l’ Appannino e anche nelle Alpi Apuane ed ha il significato di catena montuosa, giogaia non facilmente superabile. D’ altra parte non si può trascurare il fatto che le alte montagne hanno sempre portato l’ uomo a considerarle luoghi di culto, così nomi come monte Albano, Apicella rimandano alla radice ligure alb / alp e quindi al fiero popolo dei Liguri Frinati. Il nome lIbro Aperto ad esempio sta per Libero et patri dove una divinità romana minore (Liber – Dionisio – Bacco) figura affiancata a Iupiter Pater, cioè al maggiore di tutti gli dei romani. |
|
Sempre a Giove era dedicata nelle Alpi Apuane la vetta del monte Sagro sulle cui pendici si trovava l’ edicola dei Fantiscritti. Si trattava di una rappresentazione del dio Giove affiancato dai suoi due figli Ercole e Liber (Bacco). Può darsi, ma si tratta solo di congetture, che il culto di Giove attestato dal monte Giovo stia al posto di un precedente culto del dio Pennino. Livio stesso informa che i Liguri in summo sacratum vertice Peninum montani appellant e il Formentoni sostiene che le zone montuose e boscose ai limiti tra due o più popoli Liguri erano considerate proprietà del dio delle alte vette Pennino e riservate all’ uso comune di pascolo dei vari popoli confinanti. La Capra d’ oro. E’ possibile che nelle fredde notti d’ inverno, quando l’ aria è così pura e trasparente che ogni cosa ti si fa incontro, sulla cima del Giovo appaia un bagliore giallastro, fulgido e luminoso come una stella, che si muove qua e là per i balzi della montagna. |
|
E’ la Capra d’ oro che nessuno è mai riuscito ad afferrare e chi l’ ha potuta vedere da vicino ne è rimasto talmente abbagliato che non è riuscito a osservarla per più di qualche secondo. Un giorno due Lombardi (*) che si trovavano a Coreglia per lavori stagionali dissero che avrebbero presto acciuffato la Capra d’ oro e convinsero alcuni uomini di Coreglia a seguirli. Così, una sera, subito dopo il tramonto del sole salirono veloci verso l’ Alpe e si appostarono zitti zitti in attesa di vedere la Capra d’ oro. All’ improvviso apparve un bagliore che a grandi balzi si spostava lungo il crinale della montagna. Gli uomini si misero subito in marcia verso il crinale e lo raggiunsero in quattro e quattr’otto, sicuri di catturarla in un istante, ma appena furono in cresta si levò un vento furioso che li spinse in basso. |
|
E a ogni loro tentativo di recuperare il crinale, il vento si faceva sempre più forte, impedendo loro di avanzare anche di un solo passo, mentre la Capra d’ oro stava ferma sulla cima del Giovo, più imperturbabile e inquietante che mai. Le Fate dei Diaccioni. Sotto il monte Giovo, nel versante lucchese si trova l’ altopiano dell’Altaretto; lo sovrasta la Costa dei Diaccioni ricca di sorgenti e di corsi d’ acqua. Li vi abitano le Fate bianche che proteggono i greggi che vanno a pascolare sull’ Appennino, dalla Cima dell’Omo al Giovo. Si vedono di notte danzare vorticosamente alla luce lunare,nel vento e nella neve, leggere creature fatte d’ aria, senza volto e senza corpo, ma capaci di cantare canti melodiosi e sublimi. Le loro lacrime si trasformano nelle minuscole margherite che fioriscono a primavera. |
|
Il fantasma delle Fontanacce. Alle Fontanacce, nei pressi della sorgente del Fontanone, sotto i campi di Annibale, a chi si fermi per riposare un po’ e dissetarsi alla polla, può capitare di vedere all’improvviso una bambina vestita come usava una volta. Ha con sé un cesto di mirtilli che lascia cadere a terra. Se il passante si alza e inizia a raccogliere i mirtilli (che sulla montagna si chiamano bacole) in segno di gentilezza verso la bambina, si accorgerà che in realtà i mirtilli si sono trasformati in minuscole pepite d’ oro. (*) Ricordiamo che in Garfagnana per Lombardi si intendevano tutti coloro che risiedevano al di là della catena appenninica: erano gli antichi Longobardi, divenuti poi Lombardi. |