Quel misterioso vecchio chiodone

Monte Procinto

QUEL MISTERIOSO VECCHIO CHIODONE

“Lo scoglio ove ‘l Sospetto fa soggiorno

È da mar alto da seicento braccia,

di rovinose balze cinto intorno,

e da ogni canto di cader minaccia.”

Così il poeta Ludovico Ariosto, che fu governatore della Garfagnana, scrisse a proposito del monte Procinto.

Anche se oggi molti lo considerano una grossa falesia, non dobbiamo dimenticarci che sul compatto calcare e in mezzo agli strapiombi del monte Procinto, sono state scritte molte pagine della storia dell’alpinismo e dell’arrampicata apuana.

 

Senza dubbio assieme al Monte Forato e all’ adiacente parete sud-Ovest del monte Nona, il Procinto con i suoi 1.177 metri è la struttura rocciosa più caratteristica delle Apuane, dalla forma di un gigantesco “panettone” quadrangolare con pareti che si elevano verticali per 100-150 metri al di sopra di uno zoccolo altrettanto verticale.

Tra lo zoccolo e il torrione vero e proprio corre una cengia circolare, la cosiddetta “cintura” , su cui un comodo sentiero permette di effettuare senza alcuna difficoltà il giro completo delle pareti.

Il Procinto è separato dal più alto monte Nona dalla foce del Procinto, dove un caratteristico ponticello in legno permette di superare un profondo crepaccio, dando così accesso alla Cintura, facilmente raggiungibile in circa 20 minuti dal rifugio Forte dei Marmi all’Alpe della Grotta risalendo il sentiero A. Bruni a tratti intagliato nelle rocciose pendici basali della parete sud-ovest del monte Nona.

Sul lato ovest altri due più piccoli torrioni, la Bimba o l’Ignorante e il Piccolo Procinto formano l’aerea “Cresta dei Bimbi” .

La prima ascensione del Procinto viene attribuita ad alcuni boscaioli locali nel 1848; la prima salita alpinistica è di A. Bruni e C. Dinelli con le guide E. Bertozzi , E. e G. Vangelisti il 17/11/1879 dal versante sud dove nel 1893 a cura della sezione CAI di Firenze fu inaugurata la via ferrata con tanto di gradini scolpiti, nella roccia, a cui un tempo si accedeva tramite una scala mobile in legno che veniva appoggiata alla parete dalle guide “Gherardi” i “Custodi” del Procinto, previo il pagamento di un pedaggio. Questa è la prima via ferrata d’Italia.

Ma veniamo a quel misterioso vecchio chiodone.

In mezzo agli strapiombi e ai luccicanti spit del primo tiro di “Confessioni di una strega” moderno itinerario sulla parete est, ecco che fa l’occhiolino un solitario e arrugginito chiodone a campanella.

Ma chi l’avrà mai piantato quel vecchio e misterioso CHIODONE? Che ci fa lì?

Me lo sono sempre domandato, ogni volta che, arrivato alla sosta, dopo aver salito quel primo tiro, sporgendomi, eccolo apparire quel chiodone che stimolava la mia curiosità.

Certamente non l’ha messo qualche moderno climber armato di trapano o di qualche altra diavoleria di oggi.

Forse la muta testimonianza di gesta di altri tempi? Credo proprio di si. La mia idea è che quel vecchio chiodo sia la firma lasciata, parecchi anni fa, da quattro Ragazzi Versiliesi.

La curiosità è tanta ma anche la vecchia e gloriosa guida Dei Monti D’Italia – Alpi Apuane edizione 1979 nel capitolo dedicato al monte Procinto da poche risposte: all’itinerario 166g) parla di “Parete est – è la parete più bella e difficile…” . Poi all’itinerario 166gb) descrive molto sommariamente una: “via Bresciani con variante finale. Si svolge pressochè al centro della parete. Era stata schiodata e abbandonata, ma è stata ripresa di recente” . Anche lo schizzo a pagina 419 da un tracciato approssimativo.

Su alcuni punti però è decisamente chiara: la data della salita, il nome degli autori e che si tratta della prima salita della parete est.

Per trovare una risposta alle nostre domande la cosa più ovvia da fare è andare direttamente alla fonte: parlare con i primi salitori. Per noi la cosa più naturale sarebbe quella di parlare con Agostino Bresciani. Purtroppo Agostino non c’è più, quindi chiedo al mio amico Alessandro Angelini di contattare Galileo Venturini, uno dei quattro Ragazzi. Alessandro lo conosce bene e non credo ci saranno problemi.

Così per soddisfare la nostra curiosità, la sera di martedi 12 luglio 2016 assieme ad Alessandro eccoci a Pietrasanta a casa di Galileo Venturini per sentire direttamente dalla sua bocca, la storia di quei quattro Ragazzi.

Prima di venire mi sono preparato tutta una serie di domande per non lasciare nulla al caso. Dopo un buon caffè, preparato da sua moglie, ecco che inizia il nostro interrogatorio. Nonostante siamo passati da allora ben 66 anni, la memoria di Galileo è ottima e risponde a tutte le nostre domande. A sentirlo raccontare sembra di essere lì. Poi con non poca sorpresa ci fa un bel regalo: il racconto che aveva scritto di quell’avventura.

L’11 settembre 1960 quattro Ragazzi Versiliesi: Agostino Bresciani, Elio Genovesi, Franco Viviani e Galileo Venturini, che arrampicano da autodidatti poco più di un anno, vincono con 65 chiodi, l’ultima parete ancora vergine del Procinto: la parete est, la più bella e difficile. Le difficoltà che incontrano sono molto alte. Nessuno di loro a mai incontrato prima di allora difficoltà del genere. Così prima della riuscita gli sono necessari ben due tentativi anche perché il tempo che hanno a disposizione è poco. Non possono di sicuro permettersi di bivaccare. I genitori non vogliono! Inoltre l’indomani sarebbe inconcepibile mancare al lavoro. Siamo in Versilia e l’alpinismo non è certo visto di buon occhio: cosa inutile per persone che se le vanno a cercare.

Dedicano questa loro grande prima ad Angelo Pasquini detto il Gioli, un marmista di Pietrasanta, un personaggio decisamente particolare che li aveva iniziati alla montagna e la chiamano appunto via GIOLI.

Negli anni successivi molti altri itinerari e varianti verranno aperti sulla parete est, una vera ragnatela. Agostino Bresciani sarà protagonista in diverse di queste nuove aperture: via Gamm, via Stefania, Via Grabriella che diventeranno delle classiche.

Ma il tempo passa. Le mode, gli stili, le tecniche cambiano. L’ arrivo dell’ arrampicata sportiva e l’ avvento del trapano rivoluzioneranno un po’ tutto. Da diversi anni gli spit hanno oramai mandato in pensione la gran parte dei ferri vecchi. La storica via Gioli è stata oramai cancellata dagli itinerari moderni anche se agli occhi attenti qualche vecchio chiodo ne testimonia ancora l’esistenza. Non so dire quante ripetizioni abbia avuto. Io non l’ho mai salita. Anche se, ripetendo gli altri itinerari, ne ho sicuramente percorso, inconsapevolmente, diversi tratti. Molti sicuramente ne ignoreranno addirittura l’esistenza.

La storia che adesso leggerete è il racconto della via GIOLI, l’avventura di quei giorni, che Galilei Venturini, anche con un po’ di sano orgoglio, ha deciso di scrivere dopo la morte di Agostino Bresciani, loro capo cordata “ il nostro grande, forte e buon Agostino” .

Anche perché la storia non sempre è raccontata come è avvenuta. Il numero 228 Anno XXI della rivista ALP, dedicato alle Apuane, non fa nessun cenno della via Gioli, attribuendo, erroneamente la prima salita della est del monte Procinto ai fiorentini Gian Carlo Dolfi e Marco Rulli con l’apertura della via Luisa che invece è del 1961.

Ma quel vecchio, arrugginito e storto CHIODONE è ancora lì a testimoniare che quei quattro Ragazzi Versiliesi sono passati di lì per primi.

Alberto Benassi